Guido Catalano: poeta all’essenza di fico

15 Gennaio 2015
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Guido-catalano-intervista

 In questa immagine, Guido Catalano, ovvero un poeta che legge ad alta voce ciò che scrive.

 

Molte persone, in questi anni, mi hanno detto: “Ma non conosci Guido Catalano? Ma non leggi Guido Catalano? Ma non hai mai visto un live di Guido Catalano? Ma com’è possibile che una come te non conosca, non legga non abbia mai visto un live di Guido Catalano?!”

E io niente, lì, imperterrita, a non aver voglia di scoprire Guido Catalano. Come succede quando qualcuno ti dice che devi fare una cosa: non la fai, la rimandi.

Son fatta così, lo sai ormai, son fatta storta. Sono la prima di quattro figli del resto, una specie di esperimento.

Allora niente, poi un giorno, per caso, scopro che Guido Catalano, torinese, è a Milano e che, oltretutto, ha un ricco calendario di “appuntamenti vivi” come dice lui nel suo blog e come dico anch’io, da sempre.

Che palle ’ste parole inglesi ovunque! Comincio a sentirlo vicino questo Guido Catalano e se non fosse il solito intellettuale che legge ad alta voce, compiacendosi della sua voce?

A Guido Catalano piace scrivere (all’attivo parecchi libri, vedili QUI).

Guido legge bene ad alta voce con un tono che già da solo fa ridere.

Guido ha una erre moscia che si arrotola attorno alla sua lingua, che moscia non è.

Guido è un uomo galante che accetta di ascoltare le mie chiacchiere moleste anche se ho un herpes labiale deformante.

Guido è così speciale da saper rispondere garbatamente a domande sciocche.

 

Elena Borghi: Allora, niente, io vorrei chiacchierare con te come chiacchiererebbe ogni donna che nutre profondo interesse verso i sex symbol.

Guido Catalano: Facciamolo.

E.B.: Non facciamo quelle interviste dove si dice in che anno sei nato e che cosa hai fatto nella vita e come maturi la tua ispirazione. A noi, che ci piacciono i sex symbol, ce ne frega un cazzo di quella roba.

Ne convieni?

G.C.: Ne convengo senza se e senza ma.

E.B.: Ecco che quindi, vedendoti agli “spettacoli vivi” e leggendo i tuoi scritti, mi ritrovo a riconoscere la tua scomoda posizione: troppo divertente per essere poeta, troppo attento a parlar d’amore per essere artista di cabaret. Nel ruolo di sex symbol trovo che tu possa essere tutto. IL TUTTO.

Perché il poeta, per essere definito tale, deve essere un tizio che vive senza fissa dimora nel suo Io malconcio?

G.C.: Il poeta moderno può senz’altro essere un misto di cose. Io lo sono. Potrei essere l’eccezione che conferma la regola ma non lo credo.

E.B.: Parlar d’amore, parli d’amore non c’è che dire.

Ridere, fai ridere e di gusto anche. Ero accompagnata, al tuo spettacolo vivo, da un’amica psicologa, di matrice junghiana. Come immaginerai non è propensa alla risata facile eppure ha riso, sguaiatamente, pure lei.

Tu lo sai che questo è il segreto del tuo fascino sulla psiche femminile vero?

G.C.: Ne sono pienamente conscio.

E.B.: Durante lo spettacolo vivo al quale ho assistito, hai dichiarato che da giovanissimo volevi diventare rock star. Il tuo ruolo attuale, di poeta che fa ridere e che parla di fare all’amore, sopperisce al tuo non essere rock star in quanto, lo saprai bene, ogni uomo che nutre il sogno di fare la rock star è un uomo che vuole incrementare la sua vita sessuale.

Secondo te cosa smuovi nelle donne con le tue parole, con il tuo carisma? Ho visto orde di femmine accalcartisi accanto a fine spettacolo. Avevano gli occhi del desiderio, aggiungerei.

G.C.: Sì, credo che sia un’analisi giusta. Anche se a conti fatti io sono una rock star, sui generis, magari. E come ogni rock star che si rispetti ho un buon successo con le donne.

E.B.: Le donne sono molto tristi lo sai? La donna moderna è una specie di zombie che vaga nella landa della solitudine e appena vede un cervello capace di toglierla dalla nebbia da assenza di carisma maschile, vuole nutrirsene. Voracemente. Le donne ti mangiano il cervello o te lo alimentano?

G.C.: Vorrei credere che te lo alimentino, te lo ingrassino, te lo coltivino, e alle volte succede. Ambisco a quel tipo di donna. La donna zombie l’affronto con il fucile a canne mozze.

E.B.: Quindi, riassumendo: sei un poeta che parla d’amore, sei un comico che seduce con la risata, sei un sex symbol generoso, una rock star acclamata.

Parli molto di fare all’amore e dei baci con le donne.

Un vero professionista del sesso orale. Nel senso che ne parli. Non capire male.

Mi sembri la persona perfetta con la quale confrontarmi su un sondaggio che svolgo da anni. Pare che l’uomo, quando ha una relazione stabile, smetta di limonare duro la propria consorte.

Alle donne questo spiace molto. Le donne vogliono limonare duro, per ore possibilmente.

G.C.: È un discorso delicato. Ha a che fare con la consunzione legata alla durata del rapporto. La dura, triste verità è che può accadere che dopo un po’ di tempo la passione decada. Sarà bravura dell’uomo, ma anche della donna, venire a patti con il cambiamento e cercare di fare di tutto affinché si continui a limonare duro per l’eternità finché morte non ci separi, amen. Non è per nulla facile. Non conosco il segreto.

E.B.: È come se per gli uomini il limone duro fosse una sorta di accesso consentito solo all’inizio di una relazione, quel limbo di tempo così eccitante, perché non sai dove quella donna potrà condurti.  Per le donne invece è uno strumento di seduzione sempre verde, una sorta di pass verso la speranza che il gioco possa essere meno scontato e ovvio di quello che è. Perché noi donne, quando ci limonate, immaginiamo cose meravigliose e infinite.

Cose che non avvengono quasi mai, tra altro.

Però non levarci il limone Guido, ti prego. Almeno tu.

G.C.: Ok, non ve lo levo.

E.B.: Guido. Lo sai che sei il secondo Guido che conosco nella mia vita e che anche l’altro, come te, non aveva la patente. Dici che è significativo?

G.C.: A forza di sbriciolarti le palle con la battuta “guido la macchina” fin dalla prima elementare, son cose che possono succedere.

E.B.: Però le donne le sai portare su strade sconosciute lo stesso, è questo che conta. E loro si fan condurre volentieri. Nella poesia intitolata “Dialogo” letta nel tuo blog (leggila QUI) parli di una donna che vuole una poesia d’amore.

Hai mai il sospetto che, in fondo, una donna possa nutrire il desiderio di starti accanto per vedersi immortalata nel tuo repertorio di versi?

G.C.: Si chiama “Sindrome della Musa”, sì può accadere e accade, è accaduto. Rientra nell’essenza stessa di essere poeta fico.

E.B.: E tu quindi te la vivi bene?

G.C.: Direi di sì, per ora.

E.B.: Sarà anche che è bello donare parole d’amore.

Ma poi, durante i tuoi reading («lettura pubblica di brani poetici da parte degli autori» fonte: Sabatini-Coletti, ndr), rileggendo quei versi dedicati a imperitura memoria a quella donna, che sa che tu sai che lei sa che eran per lei, che è di lei che per sempre leggerai, ecco, rifacendolo, ogni volta, la porti in vita quella donna nei tuoi ricordi.

È più lenitivo o più doloroso curarsi con la poesia?

G.C.: La poesia per me è assai curativa, anzi, direi salvifica.

La poesia, la scrittura in generale mi ha abbastanza salvato. Anche la lettura, sia chiaro.

E.B.: A tal proposito vedo che hai numerose date in questo gennaio, tra le quali una, imperdibile, a Milano. Una città dove il problema di rimediare sorrisi per le donne è fortemente sentito.

G.C.: A Milano ultimamente vengo parecchio e ne sono contento. Nei prossimi mesi farò diverse date, la prossima è nel bel circolo ARCI Bellezza, il 31 gennaio con i miei soci Federico Sirianni e Matteo Nefrin con i quali da 7 anni porto in giro lo spettacolo “Il Grande Fresco”, un felice incrocio tra poesia e canzone d’autore. Io e Sirianni, supportati dal poliedrico chitarrista Nefrin e da uno o più ospiti invitati in ogni serata, affrontiamo, attraverso le parole, la musica, l’ironia e una vena sentimentale decisamente spinta, i temi più disparati della quotidianità divisi in storie d’amore, non d’amore e del terzo tipo.

Creiamo insieme un luogo d’incontro dove musicisti, scrittori, comici, attori, poeti, danzatrici del ventre, maghi, psicologi post junghiani, cantautori, serial killer, fachiri e usurai si ritrovano per esibirsi ognuno secondo la propria arte e la propria forma espressiva.

E.B.: Ogni volta che incontro un uomo che mi fa ridere e che fa ridere, con gustosa intelligenza, le donne, mi sembra di veder fiorire un ciliegio in inverno. Tu fai un po’ piccoli miracoli lo sai?

G.C.: Non lo so ma se me lo dici tu, ci credo.

E.B.: Sì, sì, fai piccoli miracoli! E poi ti vesti con completi blu che ti fanno sembrare un po’ prete, con i tuoi soci formi un trittico… non so, ma la tua vita sa di missione.

Hai capito qual’è?

G.C.: In realtà no e non vorrei capirlo perché rischierei di prendermi troppo sul serio. A parte la mia missione personale: diventare ricchissimo e comprarmi una villa con piscina.

E.B.: Piena di latte di mula e circondata di Muse con la sindrome.

G.C.: Esatto.

E.B.: A proposito di sindrome, sono in Premestruo e ho anche un herpes labiale. Ciò comporta che, in quanto donna, oggi io odi me stessa ma mai tanto quanto l’umana specie maschile. Grazie per aver accettato lo stesso di parlare con me. I sex symbol sono anche molto coraggiosi.

G.C.: Siamo sicuri di noi stessi tendenzialmente.

E.B.: Quante gioie mi dai, Guido. Al prossimo spettacolo vivo che farai verrò per organizzarti il lancio dei reggipetti sul palco, a mo’ di fionda, da parte di tutte le donne presenti. Posso?

G.C.: Mi piacerebbe molto.

 

Dalla seconda pagina Facebook di Guido Catalano ai Corinzi:

«“Mi chiamo Luco perché mio padre pensa che i nomi da maschio non possono finire in “a”, se no diventi ricchione”

Questo è l’incipit del mio nuovo romanzo che si intitolerà “Mi chiamo Luco”.
Parla di disagio giovanile e violenza sociale.”»

Suggerisco di tenerlo d’occhio. Ci si becca a un suo spettacolo vivo.

 

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