L’influenza dei giorni della merla
Spiaggia di Rimini con la neve. (fonte: ansa.it)
Non misuro la febbre così è come non averla e mi convinco che questo malessere, in realtà, è solo la voglia di partire per andare a vedere il mare mentre nevica, con te che cammini e mi guardi e sorridi, senza prendermi per mano perché, tanto, ci son fili che ci uniscono e che partono da ovunque.
Così dei fili blu legano le nostre teste di lupo. Dal cuore un filo arancione, quasi fluorescente, da quanto è infuocato. E i nostri sessi, anche quelli son legati, da un grosso filo rosso.
Così quando ti dico che voglio partire per andare a cercare un mare dove nevica nel primo giorno della merla, per passeggiare guardando le onde scomode e inospitali che ci scompigliano i pensieri fino a farceli perdere, tu non provi neanche a farmi cambiare idea.
Lo sai che non servirebbe. Mi dici solo, con voce timida: “Ma hai gli occhi lucidi di febbre…”
“Ma no” rispondo “è solo il mio corpo che urla il bisogno di acqua e sale e allora lacrima”.
Lo sai che per me i Giorni della Merla dovrebbero essere festa Nazionale. Lo sai che amo certe misteriose puntualità della Natura che, ogni anno, qui da noi, si incaponisce a fabbricare più freddo.
E allora non mi interessa andare chissà dove, basta che nevichi e che ci sia il mare. Battibecchiamo come merli impazziti d’amore perché io voglio andare in treno e tu in macchina. Così troviamo l’accordo e decidiamo di andare a Rimini in macchina per poi proseguire in treno.
La ruota panoramica del Luna Park di Rimini ci guarda fissi; ce la facciamo tutta quella spiaggia lunghissima e bianca e piena di cavalloni senza zampe che si infrangono forte, fortissimo, dentro la mia gabbia toracica.
Finito qui, l’accordo, non lo dimenticare, dice che dobbiamo prendere un convoglio che ci consenta di guardare il mare anche dal finestrino per poi scendere dove nevica.
“E se non ne troviamo più di mari dove nevica?” dici pensando ad alta voce.
“Allora vorrà dire che scenderemo quando saremo paghi di binari, ci metteremo su una panchina, come due vecchi che non soffrono il freddo e io leggerò per te delle cose, se vorrai. Oppure niente, giocheremo a qualcosa, inventeremo delle avventure. E poi, quando lo iodio ci avrà sfiniti, andremo a scegliere una stanzetta accogliente, anzi no, la sceglierai tu, che sei bravo a scegliere i rifugi e quel nostro letto di una notte avrà sicuramente le lenzuola un po’ dure e noi le faremo diventare morbide”.
Mi sorridi con gli occhi e dici che son buffa, a bassa voce. Poi ti vendichi, per averti imbarazzato, e mi dici una cosa che mi fa arrossire così, per il gusto di farmelo poi notare e la dimentico subito, perché in fondo, non voglio ricordare che conosci le mie debolezze.
Eppure tu le sai. E tremo dalla paura al pensiero che tu le possa un giorno usare contro di me. Chissà.
Ma io sono coraggiosa e te l’ho detto da subito, da quando ci siamo conosciuti in quell’estate lontana, nella quale eri la mia vacanza: tu sei come un mare stupendo, verde smeraldo, placido e accogliente, ma misterioso e sconosciuto. Io ti osservo da in cima uno scoglio, mi domando se tuffarmi e rischiare di uscirne con la testa spaccata oppure rinunciare e tornare sui miei passi.
La risposta la sai.
La sapevi da quando mi hai stretto la mano.
Tratto da – TEOREMA PRELUDIO DI CATASTROFI – un libro che non esiste ma che un giorno scriverò. Pag.29.
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